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Teoria Di seguito vengono esposti i presupposti teorici sui quali si basano i circuiti utilizzati nei nostri prodotti. Quanto descritto sulla retroazione non vuole avere pretese di scientificità, ma solo evidenziare il nostro punto di vista su tale argomento. L’amplificazione Come agisce un amplificatore? La sua funzione, come molti sanno, è quella di aumentare l’intensità dei segnali elettrici provenienti da una determinata sorgente. In realtà, da un’analisi più approfondita, si potrebbe dire che l’amplificatore costruisca un nuovo segnale, di una determinata ampiezza, utilizzandone come modello uno di ampiezza inferiore. Prendiamo ora in considerazione un esempio di amplificazione, abbastanza attinente rispetto a quanto avviene negli amplificatori audio. Pensiamo a quello che succede quando scattiamo una fotografia: la luce proveniente da ciò che stiamo riprendendo viene focalizzata, per mezzo dell’obiettivo, sulla pellicola; tale pellicola verrà poi sviluppata e stampata. Se il nostro
soggetto era particolarmente lontano potremmo, in fase di stampa, ingrandire a
piacere la sua immagine ottenendo, in questo modo, un ingrandimento di ciò che
vedevamo a occhio nudo. Ci accorgeremo allora che tale operazione non può
portare ad un ingrandimento illimitato, poiché oltre un certo limite noteremo
che i difetti di ripresa (mosso) le caratteristiche dell’obiettivo ed in
particolare la grana della pellicola ci impediranno di distinguere ulteriori
particolari. L’immagine troppo amplificata ci apparirà allora differente da
ciò che era l’immagine di origine, presentandosi piatta, granulosa e sfocata,
priva dei dettagli più minuti. Vedremo in seguito che questo esempio è molto più
vicino rispetto a ciò che avviene negli amplificatori di quanto ci possa
sembrare ora. I dispositivi attivi con i quali si costruiscono gli amplificatori siano essi a transistor o a valvole sono ben lontani da essere degli amplificatori di segnale perfetti. In essi il segnale di uscita (una corrente) non è mai proporzionale al segnale applicato ai loro ingressi (tensione o corrente) si dice, quindi, che essi sono dei dispositivi non lineari. L’amplificatore deve
per definizione comportarsi in maniera lineare (o il più linearmente
possibile). Il segnale di uscita “y” deve quindi essere proporzionale a
quello applicato all’ingresso “x”, la relazione tra i due deve essere
qualcosa del tipo:
y=Ax A
esprime, appunto, quanto il nostro circuito amplifica e deve essere una
costante. Brevi cenni
sulla retroazione La retroazione, e in particolare la retroazione
negativa è quella metodologia progettuale, universalmente adottata in campo
audio, che consente di realizzare amplificatori lineari utilizzando componenti
(valvole o transistor) non lineari. Può essere interessante notare che tale meccanismo (la retroazione negativa), le cui prime applicazioni nel campo dell’amplificazione risalgono ai primi anni del XX secolo, sia in realtà un processo estremamente diffuso anche in ambiti diversi dall’elettronica. Basti pensare al fatto che noi stessi inconsciamente la applichiamo quando, per esempio, guidiamo l’automobile. Se per qualche regione la nostra auto tende ad uscire dalla corsia, noi, osservando la strada e rendendoci conto di ciò, correggiamo l’errore con una manovra in direzione opposta a quella errata. L’auto senza questo controllo uscirebbe di strada. La retroazione si manifesta, in questo caso, come un’azione di correzione ad un errore, per mezzo di una manovra nella direzione opposta a quella dell’errore stesso. E’ come sappiamo è un meccanismo che funziona assai bene. Supponiamo per un momento che in questo processo si insinui un
ritardo temporale, ipotizziamo ad esempio che i riflessi del guidatore siano
assurdamente lenti, nell’ordine di qualche secondo. In tale situazione il
guidatore si troverebbe a dover correggere le deviazione dell’automobile in
ritardo: le curve, per esempio, verrebbero eseguite correttamente dal punto di
vista geometrico, ma dopo alcuni secondi, con l’ovvia conseguenza che l’auto
uscirebbe, in breve, di strada. In queste condizioni la retroazione non funziona
più.
Vediamo in dettaglio cosa avviene negli
amplificatori, in fig. 1 è mostrato il blocco di un amplificatore retroazionato:
al segnale di ingresso “x” viene sottratta una frazione pari a ß volte (ß
è sempre inferiore all’unità) il segnale presente
in uscita “y”, tale differenza viene amplificata dal blocco A di A volte.
L’amplificazione complessiva è data dalla formula: Supponiamo, per esempio, che il blocco A amplifichi
di un fattore 1000 e che ß valga 0,1 (il 10% del segnale in uscita ritorna in
ingresso per confrontarsi con “x”) si ha così un guadagno reale di: Ar=1000/(1+1000*0,1)
@
9,9. Questa amplificazione di 9,9 volte è quella
effettivamente disponibile. I valori indicati in questo esempio possono essere
considerati plausibili per molti amplificatori commerciali. Ciò che solitamente avviene in casi
simili a questo è di progettare un amplificatore con un guadagno
(amplificazione) molto maggiore di quanto necessario, ad esempio, di 1000 volte,
applicare forti tassi di retroazione ottenendo alla fine il guadagno richiesto,
in questo caso di circa10. Tutto ciò
si giustifica con il fatto che, oltre al guadagno, si riduce di 100 volte la
distorsione e si amplia della stessa quantità l’estensione della banda
passante. Questo ci permette di progettare l’amplificatore senza preoccuparci
se esso sia poco lineare e molto lento perché la retroazione provvederà a
mettere le cose a posto. Ci dovremo solo preoccupare di realizzarlo con molti
componenti, al fine di avere un guadagno sufficientemente elevato. Ipotizziamo, restando nell’esempio precedente, che
la tensione del segnale in uscita “y”, valga 1V, la tensione proveniente
dalla sorgente “x” varrà allora 1/9,9@0,101V, prestiamo attenzione al fatto che il segnale che pilota
l’amplificatore vero e proprio non è “x” bensì
“e”, ottenuto dalla differenza tra “x” e “ßy”, valendo
quindi 0.001V cioè 1mV, un centesimo del livello del segnale di origine. Se i valori che abbiamo appena considerato venissero
applicati, per esempio, ad un preamplificatore la tensione di uscita di 1V
potrebbe essere considerata molto elevata, nel senso che 1V rms è sufficiente a
mandare in saturazione la maggior parte dei finali commerciali, e quindi, in
condizione normali dovremo aspettarci, all’uscita del preamplificatore, una
tensione molto minore di 1V. La stessa cosa si può dire per il segnale di
pilotaggio che si può considerare conseguentemente molto inferiore di 1mV. Il segnale musicale come sappiamo non è una tensione
continua e nemmeno una semplice sinusoide, si potrebbe considerare composto da
una gran quantità, variabile nel tempo, di sinusoidi di diverse ampiezze e
frequenze.
Ciascuna di queste sinusoidi contribuisce alle informazioni contenute nel suono.
Esse determinano per esempio, la
diversa timbrica di un violino rispetto a quella di un violoncello, la posizione
virtuale dello strumento fra i diffusori , i riverberi ambientali della stanza
dove è avvenuta la registrazione, ecc. Anche le armoniche più deboli contribuiscono a
caratterizzare qualche aspetto del suono, eliminandole perderemmo delle
informazioni utili al riconoscimento di determinate caratteristiche contenute
nel messaggio musicale. E’ interessante notare, a questo proposito, quanto
è avvenuto a riguardo dei “DCC” e dei “MINIDISC”, sistemi di
riproduzione pensati per il mercato consumer. Essendo la capacità di contenere
informazioni di tali supporti alquanto limitata (decisamente inferiore rispetto
a quella di un CD) ci si è avvalsi di particolari sistemi di compressione dei
segnali, allo scopo di ridurre la quantità dei bit
da dover registrare. In pratica vengono eliminati i segnali più deboli
in prossimità di quelli di livello più elevato, dato che, per un particolare
effetto di mascheramento, questi non dovrebbero risultare udibili. In realtà
chiunque ha avuto modo di ascoltare le riproduzioni di tali macchine ha
lamentato una perdita di informazioni a livello di tridimensionalità della
scena sonora. Tutto questo porta a pensare che nella formazione del messaggio
musicale anche i segnali più deboli trasportino informazioni utili. Se pensiamo poi che il sistema di registrazione dei
CD con i suoi 96dB di dinamica sta per essere soppiantato da standard più
evoluti aventi gamme dinamiche molto superiori, che promettono di suonare molto
meglio, viene da ritenere che un rapporto tra i livelli minimo e massimo
registrabili di 96dB (circa 1 su 65000) possa non essere sufficiente. Nel
segnale di 1mV che comanda il nostro amplificatore è lecito ritenere, quindi,
che vi siano contenute componenti 65000 volte più deboli che siano ancora utili
alla completezza del messaggio musicale. Un millivolt diviso 65000 fa circa 15
nanovolt (15 miliardesimi di volt !). Come detto sopra, essendo il livello di 1mV il
massimo valore attendibile, è lecito ritenere che anche segnali dell’ordine
del nanovolt, all’ingresso del preamplificatore retroazionato, possono essere
ancora utili. Vi è poi da considerare che un guadagno di 1000 a catena aperta
(quello del blocco “A”) relativo al preamplificatore dell’esempio di cui
sopra non è affatto elevato. Se, infatti, si considera tale parametro
relativo, ad esempio, agli amplificatori operazionali integrati che equipaggiano
una gran quantità di macchine, anche relativamente costose, si riscontrano
sempre valori superiori al migliaio e che possono, in alcuni casi, superare
anche i 160dB cioè 100.000.000. Tutto questo lungo discorso ha portato a renderci
conto di quando estremamente deboli possano essere le componenti del messaggio
musicale che pilotano gli amplificatori retroazionati. Quali
problemi possono derivare da tutto ciò? Livelli di segnale così bassi
divengono confrontabili con i livelli del rumore termico all’interno
dei componenti (attivi o passivi), confrontabili cioè con i valori di tensione
dovuti all’agitazione termica degli elettroni all’interno della materia. Ma
attenzione perché il nostro preamplificatore retroazionato, con un guadagno a
catena aperta di circa 1000 non amplifica di 1000 volte il rumore
presente nel suo ingresso, altrimenti avremmo un fruscio talmente elevato
da coprire per intensità la musica stessa. Tale rumore non lo sentiamo
perché interviene la retroazione a ridurlo notevolmente. La retroazione,
infatti, per ogni segnale (disturbi, rumore, distorsione) che si origina
all’interno del blocco “A” (fig.1) e non presente come componente di
“x” provvede, tramite il blocco ß e il differenziale, a generare un segnale
uguale ed opposto per annullarlo (in realtà lo riduce di circa 100 volte). Alla
fine tale segnale si è amplificato non di 1000 ma di 9,9 volte. Tutto questo processo è un po’ come l’esempio
dell’automobile di cui sopra: se non vi sono ritardi di propagazione
all’interno dell’amplificatore il processo funziona benissimo. Il problema
è che tali ritardi ci sono: la retroazione viene impiegata, infatti, oltre che
per ridurre la distorsione anche per ampliare la banda passante e quindi la
velocità di circuiti che, altrimenti, sarebbero lenti e non lineari. Lo stesso
guadagno elevato, necessario per avvalersi di tale tecnica, richiede circuiti
molto complessi e con molti stadi di amplificazione e per forza più lenti di
equivalenti circuiti con meno stadi. La conseguenza è che il segnale che viene inviato
dal blocco ß al differenziale non è uguale al segnale errore che si vuole
sopprimere, essendo in ritardo rispetto a questo di una determinata unità di
tempo, e per tale ragione non si riesce a sopprimerlo completamente. Vediamo, a
titolo di esempio, in fig. 2 cosa avverrebbe se il segnale di disturbo avesse la
forma di un onda quadra: al segnale disturbo (1) verrebbe sottratto il segnale
di correzione (2), proveniente dal blocco ß in ritardo del tempo “t”, tale
ritardo non permette la cancellazione del segnale risultante (in realtà non si
cancellerebbe comunque ma, come detto sopra, verrebbe ridotto di 100 volte), e
ciò che ne deriva è mostrato in (3), componente che, oltretutto, sommandosi a
“e” (fig.1) viene amplificata 1000 volte.
Il rumore non è un onda quadra, essendo un processo aleatorio, contiene praticamente tutti i segnali possibili e in modo casuale. Il segnale rumore, alterato dalla retroazione, che si somma al segnale di pilotaggio “e” è notevolmente depauperato dalle componenti principali, la retroazione cioè riesce abbastanza bene nel suo compito, ma le componenti che rimangono possono avere ampiezze anche superiori a quelle di origine. Tali componenti essendo rade e sporadiche, non vengono quasi rilevate in una misura di rumore tradizionalmente eseguita, o meglio essendo la misura relativa al loro valore efficace vengono “viste” molto più deboli di quanto in realtà non siano. Per le stesse ragioni esse non sono praticamente udibili. Essendo, però, queste componenti caratterizzate da frequenza casuale e da ampiezza non trascurabile possono, sovrapponendosi al segnale musicale contenuto in “e”, portare all’eliminazione di informazioni utili. Se impiegassimo come segnale di
ingresso dell’ampli una sinusoide con un po’ di distorsione (armoniche) e
osservassimo, all’oscilloscopio o all’analizzatore di spettro, il segnale
amplificato, non ci accorgeremmo di nulla. Qualora si presentasse, infatti, una
componente del rumore modificato (chiamiamolo così), della stessa frequenza di
quella di una armonica della sinusoide, e di ampiezza tale da causarne la
cancellazione, tale avvenimento sarebbe di durata talmente breve, poniamo un
millisecondo, da non essere osservato. Al contrario se il segnale di ingresso
fosse un segnale musicale, contenente componenti che non si ripetono,
un’eventuale componente della durata inferiore a un millisecondo verrebbe
perduta, cancellata dalla corrispondente del rumore modificato, con conseguente
impoverimento delle informazione contenute nel segnale amplificato. Per la
stessa ragione tali componenti del rumore, sommandosi al segnale musicale,
aggiungono informazione non presenti nel segnale di origine. Vi possono essere altri problemi legati a questo, se
pensiamo che lo stesso ragionamento appena fatto per il rumore può essere
ripetuto per qualsiasi altro disturbo, compresi quelli correlati col segnale
musicale stesso indotti, ad esempio, dall’alimentazione, dai circuiti vicini,
ecc. E’ intuibile che più debole è il segnale di pilotaggio “e”
dell’amplificatore, maggiori sono gli effetti negativi causati da tali
disturbi. Un ulteriore problema: il segnale di uscita viene
riportato all’ingresso dal solito blocco ß per confrontarsi con “x” e
generare “e”, tale segnale, sostanzialmente simile a “x”, viene rinviato
all’ingresso con un certo ritardo temporale rispetto a “x” stesso. In
“e” viene, quindi, ad essere contenuta una componente ritardata dello stesso
“x”, una specie di eco. Tale sovrapposizione di segnali porta a
considerevoli alterazioni nella percezione spaziale della tridimensionalità del
messaggio musicale. E’ interessante notare che anche quest’ultimo
problema, come quelli discussi sopra, relativi agli ampli retroazionati, non
verrebbe in nessun modo rilevato dalle misure che normalmente si effettuano
sugli amplificatori, usando segnali periodici come quelli sinusoidali. Possibili
soluzioni La retroazione può quindi funzionare correttamente a
patto che l’amplificatore anche a catena aperta sia velocissimo, afflitto da
rumore contenutissimo ed immune ai disturbi indotti. Queste condizioni si
riscontrano parzialmente soddisfatte solo nelle macchine più costose, poiché
ottenere tutto ciò costa denaro. La soluzione più semplice, se vogliamo, più
“naturale” è quella di non utilizzare affatto la retroazione, costruire
quindi amplificatori intrinsecamente lineari, costituiti dal solo blocco
“A”. Se infatti consideriamo un paragone tra il
comportamento dell’ampli retroazionato di cui sopra con un’altro, ipotetico,
avente il medesimo guadagno di circa 10 volte, ottenuto però senza far ricorso
alla retroazione; costituito quindi dalla sola cella A, senza i blocchi ß e
quello differenziale, possiamo constatare che il segnale di pilotaggio
dell’ampli è lo stesso segnale “x” di ingresso, infatti con 1V in uscita
riscontriamo 0,1V in ingresso. Tale segnale di controllo sarebbe, quindi, 100
volte più intenso del segnale di pilotaggio “e” dell’ampli con
retroazione, risultando quindi meno sensibile ai disturbi di ogni tipo. Ci si prefiggono, quindi, i seguenti obiettivi: 1.
Non far
ricorso alla retroazione, non solo del tipo totale vista sopra ma anche di
quella locale, applicata su ogni componente attivo, che pur se in scala ridotta
ne conserva gli stessi inconvenienti. 2.
Impiegare
il minor numero possibile di stadi di amplificazione, se possibile solo uno;
minori sono le manipolazione ed i circuiti implicati minori sono le alterazioni. 3.
Il
livello del segnale all’interno del circuito non deve mai essere inferiore a
quello del segnale di ingresso (“x”), ciò per aumentare al massimo il
rapporto segnale disturbi. 4.
L’amplificatore
deve comunque possedere caratteristiche elettriche (banda passante, distorsione,
ecc.) confrontabili o migliori di quelle degli ampli retroazionati. Gli unici dispositivi attivi che consentono,
impiegati in circuitazioni tradizionali, di realizzare almeno i primi 3 punti
sono le valvole, ma solo con segnali non troppo elevati (pre fono) pena
l’insorgenza di distorsioni eccessive. Con i transistor se eliminiamo la retroazione ci
ritroviamo con distorsioni inaccettabili, ordini di grandezza al di sopra di
quelle riscontrabili nei circuiti con le valvole, in fig. 3 vediamo un esempio
di tale circuito, impiegante un JFET come dispositivo attivo. Il guadagno Av
di un circuito siffatto è determinato in valore assoluto dall’equazione: Av = gm R2 Dove R2 è il valore della resistenza di drain e gm
rappresenta la transconduttanza del dispositivo; tale parametro non è costante
e varia con la corrente circolante nel dispositivo stesso. E’ proprio
l’incostanza di gm a generare la distorsione nel circuito di fig. 3. I JFET
così come i transistor bipolari e le valvole sono, infatti, dispositivi non
lineari, la loro transconduttanza, il rapporto cioè tra il segnale di uscita
(corrente) e quello di ingresso (tensione) non e costante ma varia con il
segnale stesso. La soluzione risiede nello sfruttare convenientemente
tale non-linearità. Combinando opportunamente dispositivi uguali a coppie si può
far si che le rispettive non-linearità si elidano reciprocamente.
Il circuito di fig. 4 contiene una possibile applicazione di tale metodo.
In esso il segnale “x” viene applicato direttamente all’ingresso sensibile
(gate-source) del dispositivo, essendo la resistenza R1 completamente by-passata
dal condensatore C. Il segnale non viene, quindi, attenuato decine o centinaia
di volte prima di essere applicato all’ingresso dell’ampli, come nel caso
dei circuiti retroazionati. Il guadagno di tale amplificatore viene espresso
dalla seguente equazione: Av = (R2+R3)/R2 come si può notare questa volta compaiono solo costanti.
Il circuito di fig. 5 rappresenta un miglioramento rispetto al precedente; lo schema di fig. 4 presenta, infatti, qualche carenza riguardo all’impedenza di uscita (da ampli valvolare) e alla capacità di trattare forti escursioni del segnale di uscita. In quest’ultimo schema circuitale vengono raggiunti tutti i quattro obiettivi che ci eravamo posti. Questo amplificatore può, infatti, competere ad armi pari con i tradizionali circuiti retroazionati anche sotto l’aspetto di caratteristiche elettriche come distorsione, banda passante, rumore, raggiungendo valori tali che, dalla scoperta della retroazione ad oggi, venivano considerati ottenibili esclusivamente impiegando tale metodologia progettuale.
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